Con la sua solita pungente ironia, Mark Twain, riferendosi ad Adamo disse che non era il frutto in sé ad averlo attratto, quanto il fatto che il frutto fosse proibito mangiarlo.
Se fosse proibito il serpente anziché il frutto, Adamo ed Eva avrebbero mangiato il serpente. Il paradosso è che il proibito attrae perché affascina in quanto proibito.
Creando l’illusione che fosse un serpente a parlare, un angelo ribelle disse ad Eva e, per mezzo di lei, ad Adamo, che sarebbero stati più saggi e che la loro vita sarebbe stata più piena se non si fossero sottomessi a Dio come massima Autorità.
L’illusione viene spesso associata all’inganno. Non è vista in senso positivo. Eppure, molti non possono fare a meno di illudersi. Essa trasmette un senso di sicurezza e stabilità. L’illusione è rassicurante, perché rende la realtà più vicina ai propri bisogni.
In una circostanza l’apostolo Paolo ebbe il coraggio di riprendere “faccia a faccia” Pietro (Gal 2:11-14). Non si mostrò reticente né incerto, tantomeno lasciò ad altri la responsabilità di farlo. Pietro non considerò il gesto di Paolo un affronto e si lasciò rimproverare perché riconobbe il suo errore senza nessuna giustificazione.
Non tutti i cristiani reagiscono in questo modo, sia nell’essere rimproverati che nel rimproverare. In genere, quando siamo travolti nelle nostre convinzioni, individuiamo come responsabili altri o diamo la colpa a fattori esterni. Alcuni avendo perso la fiducia nei fratelli diventano intransigenti. Altri invece di fonte alle mancanze altrui diventano fin troppo indulgenti.
Nella piazza del mercato di un borgo medievale, un ciarlatano vestito in modo sontuoso si vanta di saper estrarre i denti in modo indolore. Il suo compare, fingendo riluttanza, si fa avanti. Il cavadenti simula un’estrazione e mostra a tutti un molare insanguinato.